L’Africa è un continente vasto e affascinante, in grado di attrarre ogni anno milioni di turisti in preda a quello che viene detto “mal d’Africa”, ovvero l’irresistibile desiderio di tornare a respirare le sue atmosfere uniche e ritrovare il contatto diretto con una natura primordiale e magnifica.
Tra le destinazioni più gettonate c’è il Kenya, un paese davvero incredibile dove scoprirai paesaggi meravigliosi tra altopiani, cime innevate, spiagge da cartolina, mare cristallino, savane, deserti e una barriera corallina ricca di vita. In Kenya potrai vedere da vicino gli animali selvaggi nel loro ambiente naturale e vivere l’avventura esaltante di un safari fotografico, accompagnato da guide esperte e indigeni ospitali, i simpaticissimi Masai.
In lingua Swahili la parola “safari” significa “viaggio” e tu potrai vivere in prima persona questa emozionante avventura alle scoperta dei segreti di questa terra che gli antropologi hanno determinato essere stata la culla dell’umanità. Ti potrai avvicinare a tante specie animali in libertà nel loro ambiente, ricongiungerti con una natura e con delle sensazioni che pensavi sopite ma che torneranno a ruggirti dentro facendoti sentire davvero vivo. Proprio alla lingua ufficiale parlata in Kenya è dedicato questo articolo del nostro Magazine, ma ripercorriamo prima le principali tappe nella storia di questo meraviglioso Paese.
Le prime testimonianze storiche documentate sul Kenya risalgono al 12esimo secolo, quando gli arabi fondarono le prime città lungo la costa e iniziarono a commerciare con le varie tribù autoctone. Fu proprio l’incontro tra le culture indigene e quella araba a far nascere la cultura swahili, che presenta due elementi fondamentali: la lingua kiswahili e la religione islamica.
La tribù più numerosa sembrerebbe essere stata quella degli agricoltori Kĩkũyũ, una delle etnie appartenenti al gruppo Bantu. I membri di questa etnia erano talmente potenti che la loro supremazia non fu mai realmente minacciata dai Masai, come invece tradizione popolare vorrebbe far credere. Sembrerebbe invece che furono gli agricoltori Kamba a utilizzare le storie sulla presunta ferocia dei Masai, con il preciso scopo di mantenere il ruolo di mediatori commerciali (e il potere che ne derivava) per tutti coloro che volevano intrattenere commerci tra la costa e i territori più interni.
Anche i portoghesi arrivarono ad insediarsi presso alcune località costiere, ma alla fine i sultani omaniti di Zanzibar presero il loro posto. Intorno alla fine del 19esimo secolo il Kenya divenne colonia britannica e la presenza europea divenne più massiccia. Iniziò quindi un’opera agricola di piantagione dei fertili altopiani interni, ai danni delle popolazioni indigene che vi abitavano e che vennero scacciate con la forza.
Per poter controllare gli indigeni, la corona britannica scelse il principio del “divide et impera” che venne applicato in tutte le colonie del continente: ad esempio i Kĩkũyũ vennero utilizzati come mano d’opera nelle nuove fattorie, i Kamba vennero reclutati come soldati nell’esercito e i Luya divennero domestici e artigiani. Ancora oggi sono visibili gli effetti di questa suddivisione etnica nella società keniota.
Per l’indipendenza, il paese dovette aspettare fino al 1963, quando le elezioni videro trionfare Jomo Kenyatta, che promosse una politica moderata e filoccidentale, realizzando importanti riforme economiche e politiche che permisero la modernizzazione e la parziale industrializzazione del paese, gettando le basi per quello che è il Kenya che, a partire dalla fine del secolo scorso, i flussi turistici ci hanno fatto scoprire e conoscere più da vicino.
La lingua ufficiale parlata in Kenya è lo Swahili, anche se con l’inglese te la caverai dappertutto. Gli indigeni parlano dialetti locali e il Kikuyu, ma le tribù (ce ne sono 42) possono avere dialetti molto differenti.
I Bantu dell’ovest ad esempio parlano Luyia, Gusii e Kuria; i Bantu del centro Akamba, Kikuyu, Embu, Meru,bere e Tharaka, mentre i Bantu orientali parlano Swahili, Mijikenda, Segeju, Pokomo, Taita e Taveta. Ci sono poi i Nilotic, che parlano Plains (Eastern) Nilotic, Maasai, Samburu, Turkana, Teso, Njemps, Elmolo. I Lake-River Nilotic parlano il Luo, invece gli Highland Nilotic (che appartengono al gruppo Kalenjin) parlano Nandi, Marakwet, Pokot, Tugen, Kipsigis ed Elkony. In ultimo vanno menzionati i Cushtic del sud che parlano il Boni e i Cushtic dell’est che parlano Somali, Rendille, Orma, Boran e Gabbra.
Relativamente allo Swahili ci sono alcune curiosità interessanti dal punto di vista prettamente linguistico. Innanzitutto non prevede articoli, quindi ad esempio “mtoto” (“bambino”) può significare “il bambino”, “un bambino”, o semplicemente “bambino” a seconda del contesto della frase. Ci sono poi molte parole che derivano da lingue straniere, a testimonianza dei periodi di dominazione politica o culturale di cui è stata oggetto l’Africa orientale. Molte le parole di origine araba, come lugha (lingua), safari (viaggio), saa (ora o orologio), kufikiri (pensare), kitabu (libro). Molte anche quelle di origine inglese, come kompyuta (computer), stampu (francobollo), televisheni (televisione), penseli (matita). Alcune hanno radici portoghesi, come meza (tavolo), gereza (prigione). Altre persiana, come sheha (capo villaggio), oppure tedesca, come shule (scuola).
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